Lui è lì in mezzo
agli altri e piange. La maschera di Capitan America gli copre i
riccioli biondi, il laccio gli pizzica il mento, il moccio gli cola
dal nasino.
Ho sgomitato per
intrufolarmi fra mamme, nonne, papà con tablet e smartphone a caccia
dello scatto perfetto. Io mi piazzo lì immobile, lui mi vede e
smette di piangere. Mi si smuove un mondo dentro, mi si torcono le
budella, un nodo grande come un cocomero mi sale in gola e sfodero il
sorriso più bello e più dolce che gli abbia mai potuto riservare.
Poi arriva la mia
principessa, mi saluta distratta, pretendo un bacio di sfuggita. La
guardo da lontano, l'unico modo in cui la si può guardare.
Matilde è così...
sfuggente. Un piccolo vulcano di emozioni, un'anagramma
indecifrabile. Matilde la guerriera, forte nella battaglia, quale
nome più azzeccato.
Usciamo dall'asilo
mano nella mano, tutti e tre.
Andiamo al centro
diurno dalla nonna bis. Mia mamma cammina veloce, sempre un passo
avanti a me. Lei è sempre un passo avanti a me, in tutto.
Siamo sole io e lei,
in giardino.
Dalla sala del
centro diurno arrivano le note di qualche canzone anni '60. I bambini
si rincorrono nel prato.
“Oggi
ho fatto un'eco, avevo sentito qualcosa al seno destro”.
Lei mi guarda.
In un attimo sembra
giustificare tutto: i miei silenzi, il mio malumore, le mie porte
sbattute, le urla ai bambini.
“Ok...
Adesso che si fa?”
Lei è già partita.
Ha già riavvolto il
nastro.
Lei sono io un anno
e mezzo fa. Ci riguardiamo negli occhi e senza parole ci facciamo di
nuovo la stessa promessa. Non sappiamo neanche contro cosa dobbiamo
combattere ma io e lei siamo nate per combattere.
Ho traslocato un
quarto del mio fardello su di lei. Fa meno male, molto meno male.
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