sabato 3 marzo 2018

Tripletta del clan delle triplette



Oggi è la giornata del cancro al seno Triplo Negativo... tant'è! Non sapevo nemmeno che ci avessero dedicato una giornata. 
Ma conosco un clan e io sono una tripletta del clan delle triplette. 
E allora usiamolo questo pretesto. Per parlarne, smuoviamo un po' le vostre coscienze, perchè care le mie ragazze, mamme, donne: stiamo subendo una vera e propria epidemia che colpisce una donna su otto (per fortuna non tutte triplette...). 
Il 30% delle donne che si ammalano ha meno di 40 anni ed è vero, si è abbassata la mortalità ma a che prezzo? Lo scotto da pagare sono cure pesantissime che minano a vita l'esistenza di chi le affronta. 
Eppure il dibattito sulle cause del tumore al seno nel nostro paese è ancora un dibattito silente, fragile, poco affrontato. 
Mettiamo fiocchi rosa, facciamo montagne di manifestazioni solo per testimoniare che ci siamo e poi? Confondiamo ancora prevenzione e diagnosi precoce (se fai diagnosi sei già malata... uh mamma!). 
Poi magari passa la chemio, passano interventi demolitivi, passano montagne di radiazioni e resti lì... tu e il mito della guerriera sopravvissuta. Ricordatelo non sono sopravvissuta, sono qui e sto vivendo, non voglio sopravvivere e non smetterò mai di sentirmi in ballo con le mie antenne alzate. Ma con me c'è un esercito di donne al quarto stadio, con metastasi... chi parla di loro? Dove sono? Cosa possiamo fare per loro?
Vogliamo risposte e le vogliamo anche per le nostre figlie e per tutte le donne a cui vogliamo bene. 
Vogliamo Breast Unit e cure per tutte. Non esistono donne di serie A e donne di serie B e non è giusto prendere un treno o un areo per doversi curare, come non è giusto dilapidare un patrimonio per riuscire a sopportare tutto questo. 
La verità è che abbiamo grandissimi cervelli, pochi fondi, grandi disparità fra regioni e tante aspettative. 
Questa è la giornata per il tumore al seno triplo negativo. 
Una mano sul cuore... e una sull'altra tetta!

Claudia tripletta del clan delle triplette

"La sofferenza non nobilita l'uomo... lo umilia" (La Bella Addormentata, Marco Bellocchio)

Mi sono interrogata molto prima di scrivere qualcosa su questo argomento, per un senso di ignoranza, pudore ma soprattutto timore. Si fa presto a nascondere la polvere sotto il tappeto, si fa presto a dire "Ci penserò quando sarà il momento". 
Ecco vedi, nella sfortuna continuo a pensare di essere stata privilegiata. Ho sfiorato il burrone... ho camminato sul ciglio del pendio e in quell'immenso smarrimento, in quell'immensa paura mi sono posta tante domande. 
Così, mentre facevo i primi esami, mentre scannerizzavo fetta per fetta il mio corpo e lasciavo che le prime gocce di chemio scorressero nelle mie vene, mentre fuggivo di corsa dai fantasmi, quelli se ne stavano lì a fissarmi: e se non funziona? 

Non mi sono data nessuna risposta. 
Semplicemente è andata. In fondo, ci vuole anche culo.

Ma è giusto sapere. E' doveroso informarsi. In un mondo che parla di diritti, in cui il diritto alla salute ruota attorno alla persona, in cui vige il diritto alla vita ma nel rispetto della persona, della sua volontà e della sua dignità. 
E' nostro diritto anticipare la nostra volontà e questo è un traguardo lungo 6233 giorni, 9 sentenze e un decreto. 
E' il traguardo di un padre che ha amato talmente tanto la vita e sua figlia da accettare tutti i sassi di quel lunghissimo cammino, per "fare tutto alla luce del sole" perchè "solo nella legalità esiste la libertà". 

Grazie Eluana, grazie Beppino Englaro.  

Il 22 dicembre 2017 è stata approvata la legge sulle DAT (Disposizioni anticipate di trattamento).

Leggete, informatevi, smettetela di nascondere la polvere sotto quel tappeto.  

(Riconoscente ad Alma-Thi per l'opportunità)

domenica 18 febbraio 2018

Un attimo



Cos'hanno in comune Nadia, Claudia, Daria, Luisa, Francesca, Sabrina, Federica, Milly, Giulia, Paola, Marta, Cristina, Giorgia..?
Un attimo. Un attimo preciso e indelebile. Un attimo in cui il cuore ti si ferma, i brividi invadono ogni angolo della tua pelle, ti si gela il sangue e la mente si offusca, le orecchie fischiano e le mani cominciano a sudare. In quell'attimo si cancella tutto e rimani solo tu e un profondissimo silenzio anche se intorno a te tutto continua a scorrere. Di quell'attimo rimane un nome e un cognome, il tuo e una diagnosi che ti marchia. 
Quello che succede dopo è soggettivo. E' così intimo e privato che nessuno può comprenderlo, nemmeno chi ti ama, chi ti sopporta sempre, chi ti è sempre rimasto affianco. 
Quindi non ci è dato capire, non ci è dato giudicare, non ci è dato nemmeno provarci...
Chi sale sulle montagne russe può chiudere gli occhi e tapparsi la bocca oppure può sollevare le mani e urlare a squarciagola. 
Siamo tanti, splendidamente diversi, ognuno con le proprie battaglie, ognuno con le proprie montagne da scalare. Non c'è montagna più alta, sentiero più complicato o mulattiera meno battuta. Quando metti quello zaino sulle spalle e calzi i tuoi scarponi, lo sforzo più grande è alzare la testa e cominciare a camminare. 
Quindi puoi cantar vittoria, puoi chiuderti in un silenzio e mascherare il dolore, puoi scoprire che fare a brandelli quel dolore e condividerlo con la gente ti fa star bene, puoi trasformarlo nel tuo riscatto o scegliere di non farti sopraffare e continuare la tua vita, come puoi, come meglio riesci senza dare a vedere le tue lacrime, i tuoi traguardi o le tue cadute. 
Quello che intercorre tra quell'attimo malefico e il tuo essere in questo istante lo sai solo tu. 
E' una battaglia che non hai scelto, è un fantasma che  non volevi incontrare. 
C'è chi si piega, chi lo maledice, chi piange e bestemmia, chi piange e si asciuga le lacrime, chi affoga il dolore nello Xanax, nel Plasil e nel Toradol.
E poi c'è chi ci sbatte talmente forte il muso da deformare il proprio viso in un sorriso. 
Cosa accomuna tutte queste donne? Un attimo, un maledetto e fottutissimo attimo che cambia per sempre la tua vita... come... non ci è dato saperlo. Ma è ancora vita e merita di essere vissuta.
Il mio pensiero, oggi, va a tutte noi: meravigliose, sensibili, forti o fragili, piegate o armate, arrese o incazzate, comunque a noi. E a quell'attimo, quel maledetto e fottutissimo attimo che ha messo il punto e ha mandato a capo la nostra vita. 

martedì 13 febbraio 2018

Vorrei una vita normale


Pubblicato da Claudia Guido
"Mi piace" aggiunto alla Pagina · 7 febbraio 
 
Avrei preferito scrivere un blog sulle incredibili capacità di una donna di improvvisare una cena con tre ingredienti non solidi nel frigo, sui lavoretti ammazza pomeriggi noiosi per bambini adrenergici o un bellissimo blog per shopaholic e make up designer.
Avrei voluto raccontarvi di viaggi zaino in spalla, di paradisi dei gourmet o di cantine inesplorate.
Mi sarei dilettata volentieri in disquisizioni sugli ultimi libri di narrativa, sui cineforum di film pakistani o su tutte le serate di Stefano Accorsi a teatro.
Invece no.
Invece mi ritrovo a raccontarvi di sfighe, terapie, ospedali e segni e sintomi. A volte mi compiango, a volte mi derido, a volte mi prendo in giro. A modo mio, sempre e solo a modo mio.
A volte vorrei solo una vita normale, una normale e banalissima e tranquillissima e piattissima vita normale.
Vorrei lamentarmi della cellulite, che ho... Della ciccia, che ho... Del vestito non abbinato o della cena bruciata.
Vorrei non avere paura. Paure che prima neanche avevo. Perché adesso mi manda nel panico la sala d'attesa del centro prelievi, la programmazione dei follow up. L'incertezza, l'eterna, lunghissima e perenne incertezza.
Così mi trovo anch'io a infilarmi nel letto, coprirmi la testa col mio sofficioso piumone nuovo, nascondere tutto, anche il ciuffo che spunta e piangere. Piangere, piangere così tanto da singhiozzare e bagnarmi la maglia. Con la voglia di farmi abbracciare, di farmi stringere e sentirmi ripetere all'infinito che andrà tutto bene. Non passerà, ma andrà tutto bene e sì, piangi, piangi ancora, tanto niente laverà quel sorriso, quello che sfodero ogni giorno. Perché quella è l'unica corazza che può difendermi dalla paura.
Ognuno di noi ha un rifugio, in cui mettersi a nudo, per non mentire... Soprattutto a se stessi.

259 secondi

Pubblicato da Claudia Guido
"Mi piace" aggiunto alla Pagina · 1 febbraio 
 
Step 4 o 5 o 6... E chi se lo ricorda più quanti step abbiamo fatto. É solo un altro di quella infinita lista dei DA FARE. Il nuovo step si chiama Radioterapia, arriva dopo un lungo corridoio sotterraneo, dopo una sala d'attesa colorata e viva di sguardi, parole, libri, tv accesa e porte che continuano ad aprirsi e chiudersi. Non ho più fretta, non ha senso. Arrivo, mi tolgo il cappotto, appendo il mio turbante colorato acchiappa sguardi curiosi, mi siedo sulla mia seggiolina e respiro piano, a fondo, aspettando il mio turno.
La giornata è così lunga e impegnativa che quello starmene seduta a contare i respiri è tutto sommato piacevole. Sto incastrando vita, lavoro, passioni e cure in un vortice convulso di lancette che scorrono. Ho preteso di non iniziare la mia giornata senza aver prima salutato a dovere i miei grandi amori, ho deciso di dare alla mia mente lo spazio necessario per ricominciare ad apprendere, mi sono data l'opportunità di ritarare le competenze e di rimettermi in gioco. Macino chilometri e giga in Spotify, cantando a squarciagola le mie canzoni fra un paese e l'altro.
Poi arrivo qui, mi sdraio sul mio lettino duro, alzo le braccia, incrocio le dita e lascio che le radiazioni facciano il loro dovere. Brucio, brucio tutto. Brucio quel che resta, anche quell'immagine distorta di me che vedo allo specchio mentre spalmo la crema, perché è solo un altro step da aggiungere ai miliardi di step fatti finora e prima o poi quello specchio restituirà un immagine che mi vada a genio.
"Rilassi le braccia, rilassi le spalle..." io conto fino a 259... Mi rubi ancora 259 secondi al giorno... Ma tutto sommato mi hai dato un'eternità che non conoscevo.

Pubblicato da Claudia Guido
"Mi piace" aggiunto alla Pagina · 1 febbraio 
 
Step 4 o 5 o 6... E chi se lo ricorda più quanti step abbiamo fatto. É solo un altro di quella infinita lista dei DA FARE. Il nuovo step si chiama Radioterapia, arriva dopo un lungo corridoio sotterraneo, dopo una sala d'attesa colorata e viva di sguardi, parole, libri, tv accesa e porte che continuano ad aprirsi e chiudersi. Non ho più fretta, non ha senso. Arrivo, mi tolgo il cappotto, appendo il mio turbante colorato acchiappa sguardi curiosi, mi siedo sulla mia seggiolina e respiro piano, a fondo, aspettando il mio turno.
La giornata è così lunga e impegnativa che quello starmene seduta a contare i respiri è tutto sommato piacevole. Sto incastrando vita, lavoro, passioni e cure in un vortice convulso di lancette che scorrono. Ho preteso di non iniziare la mia giornata senza aver prima salutato a dovere i miei grandi amori, ho deciso di dare alla mia mente lo spazio necessario per ricominciare ad apprendere, mi sono data l'opportunità di ritarare le competenze e di rimettermi in gioco. Macino chilometri e giga in Spotify, cantando a squarciagola le mie canzoni fra un paese e l'altro.
Poi arrivo qui, mi sdraio sul mio lettino duro, alzo le braccia, incrocio le dita e lascio che le radiazioni facciano il loro dovere. Brucio, brucio tutto. Brucio quel che resta, anche quell'immagine distorta di me che vedo allo specchio mentre spalmo la crema, perché è solo un altro step da aggiungere ai miliardi di step fatti finora e prima o poi quello specchio restituirà un immagine che mi vada a genio.
"Rilassi le braccia, rilassi le spalle..." io conto fino a 259... Mi rubi ancora 259 secondi al giorno... Ma tutto sommato mi hai dato un'eternità che non conoscevo.
E ogni giorno dopo 259 secondi torno ancora a vivere.

vizio di forma


Pubblicato da Claudia Guido
"Mi piace" aggiunto alla Pagina · 25 gennaio 
 
C'è un vizio di forma, talvolta, in chi ha vissuto esperienze che hanno lasciato segni tangibili nell'anima e nella pelle: si rischia di salire su un piedistallo, sottovalutando ciò che ci sta intorno...
Il mio male è peggiore, il mio male fa più male.
Non mi sento maestra di vita, non ritengo di aver scovato alcuna verità nascosta. Il mio è semplice esercizio quotidiano e applicazione costante di un'unica strategia: causa-conseguenza.
Avevo stabilito un fantastico percorso di vita, avevo fatto il mio disegno e nella mia testa era chiaro, limpido, perfetto.
Giusto... Dovremo avere tutti un disegno in testa, magari più di uno, magari con qualche accezione o variabile ma dovremo avere una galleria degli Uffizi in testa e quelli sono i sogni e dovremo vivere di sogni.
Quello che non consideriamo mai, giustamente oserei aggiungere... sono gli errori, sono le macchie di colore o l'acqua che si rovescia sulla nostra tela perfetta.

Mi ci vuole uno sforzo grande, ogni singolo giorno per accettare il fatto che qualcosa abbia preso a calci e abbia stracciato il mio quadro, ma ogni singolo giorno incontro qualche altro la cui tela è stata macchiata, sfregiata, rigata e la sofferenza è la stessa.

Riuscire a mascherare la macchia, correggere l'errore, stravolgere i colori o semplicemente ripartire da un foglio bianco diventa una virtù che magari renderà ancora più bello, magico e poetico il risultato finale.

Mi ci è voluta molta pazienza ma con calma sto ricostruendo la mia tela. Pochi disegni, timide pennellate ma non è detto che non ne esca un capolavoro.
Intanto io ho riaperto la mia scatola dei colori.
Intanto vi consiglio di tornare a disegnare o continuare... Se non avete mai smesso di farlo, perché nulla rimane immutato, soprattutto la vostra galleria degli Uffizi.

La felicità

Fucsiawonderbra
Pubblicato da Claudia Guido17 gennaio alle ore 21:35

Muoviti che è tardi!
Calzini, felpa e grembiulino, il pettine non serve mai. Sciarpa berretto e giubbino.
Salutiamo papà con un bacio con lo schiocco e via prima che passi il treno.
All'asilo l'ultima coccola, bacino, un'altra coccola, stringimi forte, ti voglio bene. E poi strade nuove per ricominciare.
Succede che la testa si rimette a elaborare, che hai mille altre cose a cui pensare, che per una fetta della tua giornata si ribaltano le priorità e tu diventi altro, finalmente altro.
Per una fetta, solo per una fetta della tua giornata ma è quel che basta per scuotere la polvere dalle tue scarpe, per rimettere in circolo energia positiva e caricarti di cose nuove, cose belle, cose altre.
Per una fetta, solo per una fetta, perché poi quando risali in macchina, ritorni tu con la radioterapia che non ha ancora chiamato, con le consulenze quotidiane fra chemioamiche, con l'attenta analisi dei segni e sintomi e il solito incredibile, irrefrenabile e caotico tram tram di una super mega iper mamma.
Ma intanto per una fetta della tua giornata hai vissuto e lo hai fatto così pienamente da non poter ringraziare ogni giorno quel sole che torna a nascere!