giovedì 28 settembre 2017

E adesso vola... libera di volare


Aveva solo 40 anni.
Una bimba di un anno.
Un marito splendido.
E un tumore triplo negativo.
Era una tripletta, del clan delle triplette.

Sai quanto fa male da uno a dieci? Undici.
Sai quanto ho pianto? Fino a quando non è scesa più una lacrima e poi è rimasto il vuoto e lo smarrimento e la paura.
Allora ho ripreso le sue foto, i selfie in bagno, le torte dei complemese, le facce buffe con la brioche, le prove vestito del matrimonio, le foto del si e ho ripreso i suoi messaggi, carichi di grinta, determinazione, rabbia e amore. Sempre col sorriso, sempre col sorriso.

Cosa vorresti sorellina? Un giorno in più, ogni giorno un giorno in più.
Il bastardo ti ha dato solo un anno mentre tu dovevi solo appendere fiocchi rosa.
Hai lottato senza mollare mai e se qualcun altro osa dire che ti sei arresa ad un male incurabile giuro che vado lì e lo prendo a sberle.
Tu non ti sei mai arresa, mai. Hai sempre portato in alto il cuore, ci hai sempre ascoltate e consolate, hai portato dal pediatra tua figlia con 39 di febbre anche quando non riuscivi a muovere un dito. Hai organizzato un matrimonio da favola, hai festeggiato la prima candelina. Ma lui continuava a crescere, nonostante le terapie continuava a mangiarti.

Cosa vorresti sorellina?
Vorresti urlare al mondo intero che di tumore al seno si muore. Che le donne devono smetterla di nascondere la testa sotto la sabbia e vederla come una cosa che capita solo alle altre.
Sai quanto fa male anche a me quando mi dicono: “Beh dai, al seno... adesso ci sono tante cure!”.
Che cazzo ne sai???
Lo sai che per un triplo negativo c'è solo la chemioterapia e l'intervento? Lo sai cos'è un indice di proliferazione? Lo sai quanto viaggia veloce nel tuo corpo?
E poi... Poi il vuoto. Stop. Non c'è una pillola, un farmaco, non ci sono estrogeni, progesterone... non c'è nulla. Resti lì sospesa nella tua nuova pseudovita, vivendo giorno per giorno, sperando, solo sperando che lui non torni.

Cosa vorresti sorellina?
Quello che voglio io.
La pozione magica, ma quella la devono ancora trovare.

Riconoscenza.
Che non è sentirsi dire grazie ma è riconoscere il problema.

Aprite gli occhi. Documentatevi, informatevi, fate i test... fate questi cavolo di test se avete familiarità. Ci sono, esistono e sono accessibili e gratuiti se avete casi in famiglia. Toccatevi, palpatevi... Prevenite! Prevenite! Prevenite!

Buon viaggio anima bella, non è giusto, ma ti sei solo liberata del tuo corpo terreno che è stato ingiustamente attaccato, violato e offeso. Non è giusto per chi ti amava così tanto. Non è giusto.
Il tuo breve passaggio però non sia vano.
Di tumore al seno nel 2017 si muore ancora.
Per il triplo negativo metastatico ad oggi non esiste ancora una cura.

Pensateci quando vi parleranno di ricerca. Pensateci quando vi parleranno di prevenzione.

Il nodo è sceso... Sto un po' meglio. Effetto terapeutico di Fucsiawonderbra. Effetto terapeutico del tuo dolce sorriso. Io non mollo... continuo e vado avanti perchè nonostante tutto... ci credo. Perchè nonostante tutto può funzionare, perchè nonostante tutto anche oggi posso dire di essere fortunata. Perchè ad oggi Claudia batte il drago 1 a 0 e la partita è ancora aperta.

Ma te lo dovevo.

martedì 26 settembre 2017

Il mio piccolo principe



Ho deciso di non perdere più tempo. È lo stesso motivo per cui compro biglietti aerei, prenoto viaggi last minute, mangio messicano, giapponese e mi iscrivo a corsi di yoga alternativi o a conferenze bizzarre.
Io Matilde e Giacomino abbiamo letto tantissime storie insieme. La nostra preferita è quella della Gallinella Rossa. Conosciamo il libro a memoria e quando dico cane, loro in coro ripetono “fannullone”, il gatto è “dormiglione” e l'anatra “festaiola. Ma soprattutto quando dico: “D'accordo”... tutti insieme si esclama: “Allora lo farò da sola!!!”.
Qualche sera fa ho pensato che se non è mai troppo tardi per rileggere il Piccolo Principe, non è nemmeno troppo presto per farlo. Ci siamo sdraiati insieme sul letto e abbiamo cominciato a viaggiare fra rose, pecore, baobab e volpi.
Giacomo mi interrompe ogni altra riga, chiedendomi cos'è un boa, il Sahara, l'asteroide B612. Spesse volte spiego, altre sorvolo e vado avanti. Penso che magari fra un po' non avrò voglia o fiato per leggere e allora ho fretta di continuare ma è inutile. Lui mi guarda con quegli occhioni a pallina e mi interroga, mi mette la mano sulla bocca, mi strapazza le guance o sale a cavalcioni sulla mia pancia. L'altra sera gli ho detto che dovrà imparare ad essere più delicato e dolce, perchè la mamma avrà dei cerotti e dei tubicini e potrebbe farmi male. Poi ho continuato a leggere.
Giacomino non parlava più, stretto nelle sue braccia col musetto appeso in un broncio. Allora ho appoggiato il libro, mi sono girata verso di lui. Due lacrimoni giganti gli rigavano il viso.
Ti taglieranno la pelle?”
Si...
Tutta la pelle?”
Un po'...
E sentirai male?”
Non sentirò nulla perchè starò dormendo...
Ma io vedrò i buchi?”
Ci saranno i cerotti...
Io non voglio vedere i buchi”
Allora non li vedrai...
Io non voglio che la mia mamma senta male!”.

Ho dovuto coccolarlo e accarezzarlo mezz'ora prima che si addormentasse e ripetergli all'infinito come riuscirò a dormire e cosa sono le medicine per non sentire male.
Allora, mi fido di te...” e ha chiuso gli occhietti.

Questa sera mi ha chiesto una mezza dozzina di volta cosa sono i baobab e cosa ci fanno gli elefanti uno sopra l'altro nel pianeta del Piccolo Principe. La magia della mamma è quella di riuscire a rendere comprensibile una cosa inimmaginabile... Ogni mamma possiede poteri sconosciuti, una chiave magica che apre lo scrigno del cuore dei propri bambini.

Cosa poteva più importarmi del martello, del bullone, della sera e della morte? Su una stella, anzi, su un pianeta, il mio pianeta, la Terra, c'era un piccolo principe che aveva bisogno di essere consolato.
Lo presi tra le braccia, lo cullai. Gli dicevo -Il tuo amato fiore non corre alcun pericolo. Disegnerò una museruola per la tua pecora e una corazza per il tuo fiore... Io...-”

Che cos'è una corazza mamma?”
Una corazza è un vestito speciale di cuoio e metallo che usano i guerrieri per proteggersi.
Tu ce l'hai una corazza?”

Si amore mio... Io ce l'ho una corazza!

domenica 24 settembre 2017

Oh Berlin





Berlino ha molte superfici vuote. Si vedono case che su di un lato sono completamente libere perché la casa accanto è stata distrutta e non è stata mai più ricostruita. I desolati muri laterali di queste case si chiamano 'Brandmauer' e sono quasi inesistenti in altre città. Queste superfici vuote sono le ferite e io amo la città a causa di queste ferite. Esse trasmettono la storia meglio di qualsiasi altro libro o documento. Quando ho girato “Il cielo sopra Berlino” ho notato che ero sempre alla ricerca di queste superfici, di queste terre di nessuno. (Wim Wenders 1992).

Berlino è un po' come me. Caotica, confusa, in continuo movimento.
Berlino è musica, colori e mille mille passi in una Alexanderplatz che pullula di gente.
Berlino è elegante e austera nella sua facciata che trabocca storia, la Berlino dell'Hackescher Hof, della Porta di Brandeburgo, del Reichstag, del Tiergarten, del Luftwaffe HQ, di Checkpoint Charlie, Unter Den Linden, o Gendarmenmarkt.
Berlino è un crocevia di volti, profumi e lingue diverse nelle strade di Friedrichshain o di Kreuzberg.
Berlino è trendy, capricciosa, stilosa o semplicemente sopra le righe come Mitte e Prenzlauer Berg.
Berlino è segnata, ferita e fiera come una donna che ha sofferto ma che mostra al mondo le sue cicatrici per non sbagliare più, per non soffrire più. La sua testimonianza diventa arte, colore, chilometri di vernice su un muro che è ancora lì per non dimenticare.
Berlino è un cantiere a cielo aperto, è voglia di rinascere ogni giorno, è voglia di crescere, costruire, cambiare ed evolversi.

Ci siamo persi nelle eleganti vetrine di Kurfürstendamm come tra le bancarelle di Mauerpark, con la stessa curiosità e attrazione per un orologio di Gucci o un cappottino di seconda mano e i Rayban vintage.
Abbiamo mangiato qualsiasi schifezza e bevuto birra. Abbiamo camminato tanto, tantissimo, apprezzando un silenzio che non ricordavamo tra una chiacchiera e l'altra e ci siamo ritrovati soli dopo dieci anni nel bel mezzo di una metropoli, ancora insieme, ancora noi due.

Avevo solo bisogno di staccare, di andare lontano per un po'. Via da tutto e tutti e fingere per un attimo che gli ultimi sei mesi non fossero mai esistiti.

Ma Berlino mi ha ingannata, piacevolmente incantata. Si è trasformata in una metafora perfetta del mio essere e del mio andare. Mi sono ritrovata felice, elegante e austera, colpita, ferita e dilaniata. Ma guardando quel cielo azzurro sopra un muro colorato ha vinto la voglia di rinascita.
Ha vinto la voglia di non dimenticare nulla, ma di ricostruire un futuro sulle macerie rimaste. Velocemente, freneticamente, con grazia e ambizione.
Al mio fianco sempre lui, sempre e solo lui, col suo sguardo buono e rassegnato ai miei capricci e ai miei sogni immensi.

Lui, il mio amore... sempre lì, come un bambino che gelosamente tiene stretto nel pugno un palloncino che nonostante tutto continua a volare fra un 'Brandmauer' e l'altro, fra una ferita e l'altra.

martedì 19 settembre 2017

"Quando si smette di pensare a ciò che può succedere..."


Intorno a me c'è tanto caos. Settembre è sempre un po' così, un nuovo inizio. Ricomincia la scuola e il suo tram tram, I quaderni da comprare, le penne, la colla, il righello che non si trova, le etichette, adesivi da scrivere con maniacale dedizione e appiccicare nell'angolo in basso a destra sennò non mi piace. Pennarelli e matite in gradazione che tempo una settimana saranno sparse nell'astuccio a casaccio, rosicchiate e senza punta.
Ricominciano le attività, si riattiva il servizio taxi. Perché mamma "mi piace la pallavolo ma il nuoto è importante e io vorrei tanto ballare" e io che faccio del "mens sana in corpore sano" un motto di vita, assecondo.
La mia agenda si riempie a tal punto che per ogni paginetta ci inserisco un post it e poi frecce, freccette, cambi di colore per stabilire le priorità. Aggiungiamoci poi una vita sociale degna di una Chiara Ferragni dei poveri e la mia immancabile incapacità di dire no a nessuno.
Fra le priorità ci sono gli esami preoperatori: passo da un colloquio agli esami del sangue, torace ed elettrocardiogramma, incontro con la volontaria e consegna delle borsette di stoffa colorata per i drenaggi.
Quando l'infermiera mi chiama per la Risonanza sto rispondendo a un messaggio e contemporaneamente pensando alla lista della spesa e al pranzo. Realizzo dove sono e cosa sto facendo mentre mi ritrovo con la faccia schiacciata in un cuscinetto antidecubito, il mio décolleté appositamente soggiornato in due incavi e nelle orecchie un rumore assordante nonostante le cuffie. Nel braccio sinistro mi ha acciuffato al volo una delle ultime vene rimaste e lentamente scorre il liquido di contrasto ma non ne ho percezione alcuna.
Sono fatta così. Non ho dato al mio drago lo spazio di un attimo. È stato un pensiero costante, ricorrente ma non ha fermato il mio turbine mentale, la mia incapacità di bloccare la mia vita e le mie passioni. Mi rialzo con un'abilità sorprendente nonostante la posizione non proprio comoda per la mia schiena malandata e vado a rivestirmi.
"Il medico dice di aspettare una decina di minuti, fai pure colazione e poi torni così ti dice qualcosa".
Panico. Il panico si fa strada in un nano secondo.
Per sei mesi ho accettato tutto, ho fatto i compiti, sono stata una paziente modello. Dentro di me la consapevolezza che tutto stava andando per il verso giusto, le visite lo confermavano ma non ne ho mai avuta la certezza insindacabile di un esame strumentale.
È il momento della verità. È il momento di capire se è servita la nausea, se è servito annientarsi davanti a uno specchio, se sono servite le unghie nere e i formicolii, decine di punture sulla pancia e sulle gambe e relativi dolori alle ossa. Se è servito tutto questo pellegrinaggio in salita, sui sassi, a piedi nudi.
Ebbene sì...
La chemio funziona.
È tanto stronza quanto efficace e lo dico a cuor leggero perché possa diventare fonte di speranza per chi quel cammino lo deve iniziare.
Mi basta lo sguardo buono e compiaciuto del radiologo per perdere dieci chili di ansia, mista a ritenzione idrica. Ho baciato e abbracciato tutti. La felicità quella vera, non la puoi trattenere perché ti esplode dentro ed esce da ogni poro della tua pelle.
È solo un piccolo primo traguardo... Piccolo piccolissimo.
L'indomani la sequenza si ripete. Infermiera, tecnico di radiologia. Mi strizzano la mia povera tetta dentro la morsa della mammografia, il dolore lo sento relativamente. Tutto è relativo al momento. Penso ad altro, attendo, aspetto.
È una nuova conferma.
Gli stessi occhi azzurri e lo stesso sorriso di qualche mese fa mi guardano soddisfatti. Questa volta non è una condanna.
Manca solo l'ultimo step della settimana. I colloqui con chirurgo e anestesista. Mancano le mie firme sui consensi. Manca il mio ok.
È quello che voglio, che abbiamo stabilito, è quello che ho studiato (anche se non avrei dovuto, ma resto pur sempre un'infermiera), ma non per questo fa meno male.
Non perdonerò mai al mio drago l'ingiustizia di prendersi la mia femminilità, di prendersi ciò che mi ha resa materna e soffice come un cuscino per i miei bimbi. Lo accetto, ma non glielo perdono.
Esco stremata, dopo una settimana di visite, controlli ed esami.
Ne esco felice, turbata, motivata, parzialmente preoccupata ma fiduciosa.
E poi basta... Perché gli ho dedicato già troppo tempo, lui si è già preso troppo e io ho due bambini da coccolare, i primi giorni di scuola da vivere, una scatenata squadra di baby atlete da conoscere per poi delegare alla mia fidata sostituta ma soprattutto un volo da prendere.
Perché la vita è ora, è adesso.
"Quando si smette di pensare a ciò che può succedere, si inizia a godere di ciò che sta succedendo"...
E io vado a Berlino col mio amore!

martedì 12 settembre 2017

Ce la farai anche st(R)avolta




C'è un angolo del mio cuore che raccoglie le storie che incrocio nel mio cammino. Mi dicono di farmi scivolare il male degli altri per non aggiungere spine alle mie spine.
Non è dolore, non sono spine.
Faccio scivolare la rabbia, la negatività, i fantasmi delle paure, quelle le lascio fuori e non do loro libero accesso.
Ma c'è un angolo del mio cuore che raccoglie e cataloga. La chiamavo empatia, ora nel patos ci sono dentro fino alle orecchie. Non è più empatia, è esperienza, solidarietà, comprensione.
Non troverai rassegnazione nelle mie parole, mai!
Non troverai soddisfazione nel saperti nella mia stessa fogna, non auguro al mio peggior nemico nemmeno un grammo dei miei 21 negli ultimi 6 mesi.
Non troverai la cura per la tua tristezza e la tua paura, perchè quella foresta nera la devi attraversare da sola, a piedi nudi, ferendoti, cadendo e rialzandoti.
Ma quando stringerai fra le mani quel foglio bianco che sa di condanna e un medico ti guarderà fisso negli occhi e quello sguardo ti ferirà più di mille pugni nello stomaco, io ti parlerò di qualcosa che va oltre.
In quell'angolo nascosto del mio cuore ci sono volti conosciuti, mani che ho stretto, pagine che ho letto, messaggi che ho conservato. C'è una lista sconfinata di nomi diventati cari e di storie catalogate nel mio file speciale.
Non ho la pozione magica. Se ce l'avessi non sarei qua.
Ho solo le briciole seminate dietro di me per non dimenticare il cammino fatto fino a qui, ci sono consigli profani della Claudia paziente. La Claudia infermiera l'ho chiusa in una gabbia perchè era una paziente scomoda.
E adesso siediti, respira a fondo, arrabbiati e piangi se vuoi piangere, urla se vuoi urlare, sbatti i pugni o prendi a calci la porta. Poi torna a respirare a fondo. Chiedi aiuto, subito, non chiuderti a riccio e non mettere una corazza. Trova intorno a te una buon motivo per continuare a respirare e apri gli occhi. Osserva attentamente: troverai decine di ragioni per continuare a respirare e crea il tuo obiettivo. Sogna in grande e non porti limiti.
Mi dirai che non ce la fai, non è vero.
Mi dirai che fa male, lo capisco.
Mi dirai che è difficile, nessuno lo nega.
Mi chiederai aiuto.
Ti parlerò di litri di acqua, di chilometri di asfalto e prati verdi, di sorrisi innocenti, di viaggi last minute, di alimentazione sana e di sane bevute. Ti parlerò di speranza, sempre, di pensieri positivi, di testa e fisico e fisico obbediente alla testa e ti ripeterò allo sfinimento che ce la farai... sì, ce la farai, anche st(R)avolta! Tu non mi crederai e intanto passeranno i giorni, passeranno la nausea e i dolori, passeranno le ore lunghissime, passeranno litri di farmaci nel tuo corpo e tu comincerai a credermi e se non mi crederai, io continuerò a ripetertelo:
Ce la farai anche st(R)avolta.
Non ho armi segrete, ci sono giorni in cui nemmeno io credo a quello che dico... ma non smetto mai di ripetermelo.
Non smettere di far entrare la luce nelle tue stanze, aggrappati a tutto il bello che ti circonda, sii forte. Scoprirai una persona nuova che non conoscevi, troverai risorse che nemmeno immaginavi e capirai veramente cosa desideri.
Quando finalmente arriverai alla fine del tuo cammino ci prenderemo per mano e pianificheremo un nuovo viaggio. Alla fine la destinazione è sempre la stessa e si chiama felicità . Nessuno di noi sa cosa ci attende ma possiamo solo aspirare al meglio...
A te che mi scrivi, a te che mi leggi e rileggi la tua storia, a te che stai camminando con me, affianco a me, a te che che questa strada l'hai percorsa già, a te che la devi percorrere di nuovo. A te che hai paura, a te che non sai... ce la faremo! Ce la faremo ancora e ancora e ancora e se non è vero, illudiamoci del contrario che anche l'illusione è una medicina potente.
E adesso respira, rimboccati le maniche, alza quel culo e mettiti in marcia che di strada da fare ce n'è tanta. Io sarò con te e tu sarai con me, in quell'angolo del mio cuore che non sente dolore, rabbia o frustrazione ma prende solo il buono e lo trasforma in benzina per mettere il turbo.


(Grazie alla bellissima Cristina, grazie per essere una super positiva compagna di viaggio e per aver acconsentito a pubblicare questa foto...)

sabato 9 settembre 2017

Sei uguale a me



E' quando mi guardi con quel musetto imbronciato e io so che da lì a tre secondi scoppierai a piangere che dentro di me penso che sei proprio uguale a me.
Ribelle, testarda, sensibile e con un universo multiforme di sogni e idee pazze... c'è un groviglio di pensieri che ti frullano per la testa e con arroganza e determinazione punti sempre dritta alla meta.
Sei uguale a me, sei pericolosamente uguale a me
quando ti commuovi
quando scrivi, scrivi tutto,
quando ritagli centinaia di pezzettini microscopici di carta e cospargi di glitter e brillantini la tua stanza pulita,
quando prendi le redini della situazione,
quando vorresti tutti dritti in fila dietro di te.
Quando mi urli in pieno muso la tua rabbia e insofferenza e mi sfidi con le tue parole che tagliano come lame.
Sei uguale a me!
Solo in formato mignon.
Così piccola e spigolosa.
Ho dovuto togliere la campana di vetro che ti proteggeva e lasciare che la pioggia cadesse sulla tua testolina, bagnandoti poco a poco e lasciandoti fradicia e infreddolita.
Non ti ho nascosto nulla, ma ti ho imboccata di piccole verità in formato zigulì.
“Voi non mi capite... nessuno mi capisce!”

Quante volte l'ho ripetuta io questa frase e quante volte mi sono ritrovata a piangere e ad aspettare un abbraccio.

Allora ti ho preso in braccio e ti ho stretta forte, perchè sei la mia bambina, la mia piccolina e ti ho detto che non è vero che non ti capisco. Ti ho detto che sei esattamente, perfettamente, inequivocabilmente uguale a me. Ma che vorrei tanto tu fossi felice.
Felice anche per le piccole cose, per il semplice fatto di essere insieme. Felice di mangiare le tue palline cioccolatose nel latte, felice di poter giocare con noi, felice di una colazione tutti insieme, di una passeggiata sotto la pioggia, di un regalo inaspettato, di un buongiorno col bacino.
Io ci ho messo 36 anni per apprezzare anche il semplice fatto di aprire gli occhi la mattina e vedere i tuoi occhi curiosi che mi sfidano, mi interrogano, mi interpretano e mi amano.
Vorrei tanto regalarti questa magia con qualche anno di anticipo.

Ti amo cucciola mia e non è vero che non ti capisco... nessuno al mondo ti capirà mai meglio di me!

martedì 5 settembre 2017

Basquiat


La mia vita è un Basquiat.
Ho preso una tela bianca e ci ho buttato dentro tutto.
Ho versato e mescolato con le mani i colori, l'allegria, la gioia e la voglia di vivere, c'erano i giorni gialli, verdi e azzurri. C'erano le corse in cortile, le recite a teatro, gli amici e i salti con l'elastico. La palla che passava al di qua e al di là della rete. C'era una bambina cicciotella e goffa, i giorni grigi e le lacrime. Una stanzetta viola in cui raccontarsi tutto, montagne di diari e di libri da interpretare. C'erano le certezze, la Uno della mamma che apriva il cancello alle sette di sera e io che dalla scrivania vedevo papà nel vialetto dell'orto. C'era mio fratello nella stanza a fianco e un muro di parole non dette cresciuto mattone su mattone per poi sgretolarsi come gesso il giorno in cui in quel vialetto papà non c'era più. C'era la nonna, per qualsiasi cosa c'era la nonna. Per il the con gli spicchi di sole, per la pasta col ragù o la minestrina di verdura, le mentine nel fazzoletto e i cassetti dei ricordi, con le foto in bianco e nero e le madonnine di Lourdes.
C'era il rosso delle estati pazze, le fughe lontane senza un soldo in tasca, i segreti da non dire, le scorribande e la voglia di redenzione.
Suoni, fotografie e disegni stilizzati. Migliaia di visi che si intrecciano.
La mia vita è un Basquiat, un mix sconnesso e confuso ma sempre poetico e sensibile.
Niente e nessuno ha incrociato la mia strada senza lasciarne un segno indelebile.
Come graffi sulla tela. Gli amici che ho perso, gli amori che ho lasciato andare, l'aggrapparsi a Dio e ritrovarsi sola e sentirne il vuoto.
Ci sono i tratti decisi, i punti fermi. Le certezze. L'amore che mi sostiene. La famiglia che ho cercato, ho voluto, ho costruito e che giorno dopo giorno ritocco, miglioro, sfumo ma che resta il soggetto principe della mia opera d'arte.
La mia vita è un Basquiat, uno scarabocchio impertinente e contraddittorio, un'altalena di energia, paura, frenesia e voglia di serenità. Una ricerca continua.
E poi c'è lui.
Che incombe nella mia opera d'arte come un'ombra inquietante. C'è, anche se non voglio pensarci, anche se ogni giorno vivo lasciandogli lo spazio di un attimo, anche se l'ho disegnato come un drago, anche se ai bambini non fa più troppa paura. Lui c'è e porta il nero, le macchie, gli strappi e la consapevolezza.
È la canzone triste nella mia playlist, è lo sguardo cupo negli attimi di assenza, è il mio “preferisco star da sola, grazie!”.
Lui c'è, non lo posso cancellare dalla tela.
La mia vita è come un Basquiat. Una tela caotica, in cui trovare anni dopo, parole scritte, cancellate e riscritte sotto la crosta dura dell'acrilico.
Comunque un opera d'arte.


Io non penso all’arte quando lavoro. Io tento di pensare alla vita.” (Jean-Michel Basquiat)