È iniziata così, una
mattina di fine inverno... Sveglia, doccia, crema al cocco che mi
ricorda il mare e poi la prima scelta difficile della mattinata: vado
coi pois, pizzo rosa antico, il nero no... frugo veloce fra slip e
brasiliane, cercando in quel cassetto traboccante di reggiseni e push
up in cui vige una sola regola: l'abbinata prima di tutto. Peccato
che la mia poliedrica personalità mi porti ad un piccolo caos
cosmico con conseguenti esplosioni di mutande e coulotte che riescono
a fatica e dopo tenaci pressioni a rientrare al loro posto. Della
serie: non aprite quel cassetto!
Quella mattina, non so
perchè, l'occhio mi cade sul fucsia acceso. Bellino lui... messo sì
e no tre quattro volte in circa 3 anni di permanenza. Sarà per la
taglia non esattamente conforme alle mie attuali forme... sarà che è
stato il classico acquisto del “tanto da domani mi metto a dieta”.
Però ci sono quelle giornate in cui te ne frega poco o niente, alla
fine l'importante è che la mutanda sia la sua.
Mi strizzo in quel push
up, mi mettto i miei soliti leggins e qualche maglietta informe. Nel
frattempo fa capolino nella mia stanza Giacomino, reclama coccole,
bacetti ma soprattutto la colazione e inizia il tram tram di tutti i
giorni.
Abbiamo 22 minuti a
partire da adesso per fare colazione, vestire il nano, svegliare
Matilde senza innescare la bomba del cattivo umore mattutino.
Organizzare un pranzo mordi e fuggi da portare al lavoro, ricordare a
papà che alle 7.30 dovrei timbrare il cartellino, ma anche che c'è
il dentista di Matilde alle 16.30, che alle 16 io devo essere in
palestra, che stasera lui ha il poker con gli amici e che io sono
reperibile al lavoro.
Storie di ordinaria folle
routine.
Al lavoro ci arrivo alle
7.33, timbro alle 7.35 con il mio consueto puntuale ritardo.
Chirurgia urgenze.
Stampiamo la lista,
pianifichiamo il lavoro, accogliamo i primi pazienti, allestiamo la
sala, i carrelli, accendiamo le scialitiche, l'elettrobisturi, la
colonna laparoscopica.
Il mio fucsia wonderbra
comincia a strizzare dopo circa un'oretta, quando dopo l'ennesimo
balzo felino per cambiare l'aspiratore pieno, realizzo un senso di
“tette in gola”... ok è troppo stretto l'avevo detto io
stamattina.
Le ore successive sono una
piccola agonia fra palpatine seminascoste e tentativi malparati di
allargare bretelle e gancetti.
La tregua arriva solo
verso le 14.30... svesto i panni della strumentista. Mi caccio in
spogliatoio per una rinfrescatina prepranzo e mi tolgo quello
strumento di tortura seduttiva o di seduzione torturatrice.
Liberazione... le ore
successive le trascorro come quando a 12 anni te ne stavi beata con
la tua canottierina con la piccola differenza che nel frattempo hai
si e no una ventina di chili in più, partorito due figli e allattato
un vitellino fino a 16 mesi. La forza di gravità purtroppo ha sempre
la meglio.
Alle 21.30 sono stremata,
a letto, con le caviglie gonfie e il trucco semistruccato, perchè
sono stanca e va bene cosi... tra il pranzo e il mio letto sono
passati un allenamento di babyvolley con una ventina di scatenate
under 8, ho ritirato Giacomo dalla nonna, Matilde dal suo
allenamento, ho inventato una cena, fatto due semidocce ma senza
capelli (quelli li laviamo domani), corretto compiti, raccontato una
storia, aspettato il respiro pesante gli ultimi bacini della
buonanotte.
A letto sono solo io e un
dolore nuovo, mai sentito. Una fitta costante.
Mi accarezzo e mi
massaggio.
Maledetto fucsia
wonderbra.
Mi massaggio ma non passa.
E all'improvviso ti trovo.
Una notte di fine inverno
ho capito che non c'ero più solo io, i miei amori, le mie passioni,
la mia rincorsa ad una vita di corsa.
Una notte di fine inverno
è tornata la paura.
È tornata di nuovo,
impietosa.
Io la paura la conosco,
l'ho guardata in faccia tante volte.
Quella paura che
paralizza, che ti toglie il respiro, che ti lascia senza fiato.
La paura è una pancia che
non cresce quando sei incinta.
La paura è un medico che
guarda un tracciato e allerta una sala operatoria.
La paura è la voce di tua
madre che grida e piange al telefono e ti dice “papà non si
muove”.
La paura è un cardiologo
che scuote la testa.
La paura sono le porte di
una sala d'attesa che non si aprono.
La paura è guardare il
drago nel monitor finchè tua madre è sedata.
La paura è toccare il tuo
seno e nello stesso istante capire che il drago adesso è dentro di
te.
Non ho più dormito.
Maledetto fucsia wonderbra
Benedetto fucsia
wonderbra.
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