15 Settembre
2007, forse 16 Settembre, perchè sicuramente era già scoccata la
mezzanotte. Io ero ancora bellissima nel mio vestito bianco da
favola, da Biancaneve, col collo alto come le principesse delle
favole. Avevamo riso, scherzato, cantato e ballato. Siamo soli io e
lui, di fronte alla piscina illuminata di stelle, lucine e candele.
Papà mi
prende per mano, mi siedo sulle sue ginocchia.
Con le
lacrime agli occhi, perchè il mio papà era un orso che sapeva
piangere, mi dice che sarà difficile tornare a casa senza di me. Io
lo abbraccio forte, così forte, come forse non lo avevo mai
abbracciato.
Un mese dopo
stringo in mano il terzo test di gravidanza. Il terzo test positivo.
Antonio mi
guarda con occhi a forma di cuoricini, io mi siedo sul divano
malmesso della nonna che occupa il nostro salotto deserto, assieme ad
una cassapanca vuota. In casa abbiamo una cucina e un letto, in banca
neanche una lira ma un debito per i prossimi 25 anni... Lui sta
cercando lavoro, io mi sto chiedendo se sia il caso di comprare un
altro test, magari nel frattempo cambia qualcosa. Poi penso che
nostro figlio barra figlia ci è già costato 39 euro in farmacia
(13+13+13) e mi arrendo.
Chiamo la
mamma, in lacrime. Lei è felice ma è una donna razional obiettiva
come me. Le dico di dirlo a papà, non ho il coraggio, non ce la
faccio. Mi sembra di averne combinata un'altra delle mie e in questo
ero davvero infallibile.
Me lo
ricordo papà sveglio alle tre del mattino, in penombra, davanti alla
finestra con la sua Diana Blu Slim accesa che fissava il cancello. Mi
incute paura ancora adesso. Mi ricordo le sfuriate, le grida faccia a
faccia, il suo “Chiaro?” perentorio.
Papà ha
allenato centinaia di bambini a calcio, lo adoravano tutti, papà era
un sole, era il sorriso più grande e più bianco che la Fulgor possa
ricordare.
Io e lui
però viaggiavamo su binari paralleli. Troppo uguali per incrociarci.
Troppo fieri.
La mattina
dopo mi suona il campanello, mi tremano le gambe, apro piano la
porta. Lui tiene in mano un sacchettino bianco con due brioches, mi
abbraccia che quasi mi stritola e mi salva: “Finchè ci sarò io,
non dovrai mai avere paura di nulla, tutto andrà bene!”
Da lì ho
ricominciato a sorridere.
Non è mai
stato facile, ma lui c'era sempre, era la terra sotto i miei piedi,
anche quando la terra tremava. Anche quando la pancia non cresceva,
anche quando gli esami andavano male, anche quando alla fine la mia
piccola guerriera ci stava appena in una mano, attaccata a sonde e
tubicini. Lui c'era, era lì dietro il vetro con occhi innamorati.
Lui c'era
sempre. Era l'eroe che la faceva ridere e mangiare, era un cane a
quattro zampe e un valoroso pirata, era un re con la corona e lei la
sua principessa.
Lui era con
me anche quando il cardiologo ci ha confermato che quel cuoricino
andava studiato, curato e rattoppato. Lui era con me e io non avevo
paura.
Papà mi ha
fatto lo scherzo più stronzo e bastardo del mondo, se n'è andato
senza dire niente, senza una parola, senza un ciao.
Si è
addormentato, senza andare a prendere Matilde all'asilo.
Non glielo
perdonerò mai.
“Finchè
ci sarò io, non dovrai mai avere paura di nulla, tutto andrà bene!”
E adesso che
si fa, dove andiamo? Dove la trovo la forza io?
“Tutto
andrà bene! E se invece male? Ricordati di sorridere!”
Al suo
funerale ho indossato un bel vestito, un tacco 12 e gli ho dedicato
da seduta perchè le gambe mi tremavano ma a voce alta e ferma le
parole più belle e vere che il mio cuore gli avessero mai dedicato.
Gli ho detto tutto quello che avrei voluto dirgli se me ne avesse
dato modo.
Papà:
generosità, passione e grinta. Sempre col sorriso!
Dove trovo
tutta questa forza mi chiede la gente. Sarà genetica, sarà che ho
una mamma che ha scalato le montagne a mani nude, che il drago l'ha
guardato in faccia e gli ha detto: guai a te! Sarà che lei ha
ripreso in mano la sua vita e ne ha fatto un'esplosione di forza e
coraggio. Sarà che lassù ho una stella grande, ma così grande che
illumina ogni notte il mio cielo.
Io lo
ammetto, ultimamente non so cosa pregare. Ma la mia preghiera la dico
guardando il campo da calcio in cui intravedo ancora la sua tuta blu
e il cappellino col frontino. La mia preghiera la dico guardando
Giacomino e la sua panciotta liscia che gli fa calare i pantaloni a
mezzo sedere come il nonno, guardando Giacomino ridere, riconoscendo
il timbro di quella risata.
La mia
preghiera è il mio sorriso perchè nel mio sorriso c'è anche il suo
sorriso.
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