mercoledì 21 giugno 2017

Una lezione da imparare




Entriamo tipo guest star in un'aula silenziosa. Dalle finestre entra un sole abbagliante, fuori un parco splendido e una distesa verde. Dentro una cinquantina di facce curiose e attente. I banchi, le Bic e i block notes, qualche notebook, gli astucci colorati e gli zaini sotto i piedi. Ripenso a quando dall'altra parte ci stavo io. Quando con presunzione credevo di sapere tutto perchè conoscevo il libro a menadito e patologia medica e chirurgica erano più una sfida tipo settimana enigmistica che altro.
Mi piacerebbe raccontarglielo quanto valgono i 30 quando sei in sala e hai un millesimo di secondo per decidere cosa fare o quando sei in reparto all'undicesima ora di turno e hai un nuovo entrato.
Ma quella è un'altra storia. Oggi parliamo di noi. Di un noi nuovo di cui faccio parte.
Raggio di Sole incontra i ragazzi dell'Università.
Paola è un po' preoccupata... “Cosa dovrei dire...”
La rassicuro dicendole che sicuramente conoscerà perfettamente la sua “lezione”, nessuno può raccontare meglio di lei quello che ha vissuto, provato. La paura, la grinta, la voglia di farcela, i sintomi, gli effetti della chemio.
Nadia rompe il ghiaccio presentando l'associazione, la storia, il percorso, le attività.
Poi parlo io e mi presento ai miei futuri colleghi. Mi è capitato spesso di fare lezione ai ragazzi, ma ora è diverso. Oggi non insegno come si allestisce un campo sterile, non ti bacchetto su come si indossano i guanti o si monta un ago sul portaghi, ti racconto chi sono, quello che è successo. Ti spiego come quindici gocce di Xanax mi abbiano fatto alzare la testa, di quanto fa male leggere una diagnosi con il tuo nome in alto a destra. Ti racconto di come si può affrontare tutto questo con forza, grinta e personalità. Ti sbatto in faccia che non mi sento per nulla persa, vinta o finita, che la vita va e deve andare avanti lo stesso. Ci metto i miei sogni, i miei progetti. A cuor leggero.
Quando parla Paola mi viene la pelle d'oca. Perchè è giovanissima come me, perchè è mamma, come me. Perchè la storia è cosi simile, gli ostacoli gli stessi, la grinta tale e quale. La voglia di dire: ok è successo, ma io ce la voglio fare e devo andare avanti. La sua paura dura dieci secondi forse... snocciola la sua storia senza timore alcuno, è rimasta solo l'ombra della ragazza timida e riservata.
Teresa ci mette l'ironia, l'autoironia dice lei. Perchè lei e solo lei ha il diritto di prendersi in giro. Perchè con il paziente oncologico ci vuole tatto, rispetto, attenzione e tanto cuore. Teresa racconta i suoi aneddoti, ci fa sorridere ma anche pensare... e mi rivedo nelle sale d'attesa fra domande curiose, sentenze ignoranti dei soliti sapientoni che pensano di sapere tutto. Noi pazienti odiamo le sale d'attesa, ricettacolo di pareri inopportuni e sproloqui.
Teresa è uno spettacolo, sembra recitare anche quando parla e non solo quando sale sul palco con la sua splendida compagnia teatrale. Teresa che aveva paura anche della sua ombra ammette di essere diventata una tigre perchè, e questo lo confermiamo tutte: c'è qualcosa nella malattia di magico che ti fa tirar fuori il succo, l'essenza... l'estratto (come ho già detto, giusto per essere al passo coi tempi).
Qualcuno in prima fila ha gli occhi lucidi. Sono abituata ad osservare attentamente le persone che ho davanti. Nessuno si distrae, tutti seguono attentamente le nostre parole. È uno stralcio di vita, così intenso e vivido da lasciarli immobili.
Calchiamo la mano su certi argomenti tecnici, Lorena ricorda la loro importanza in reparto, su come siano loro i nostri primi interlocutori. Parliamo di aghi, di paura degli aghi, di port, di terapie e sintomi.
Parliamo di fisiologia dell'illusione. Argomento che non troveranno nei libri ma che impareranno da noi. Perchè l'illusione della guarigione facilita il processo e questo me l'ha insegnato un'infermiera e voglio tanto darle ascolto.
Ricordiamo i mille appuntamenti estivi dell'associazione e li invitiamo ad essere dei nostri. Perchè come ripeto spesso: mi piace tantissimo fare casino.
E ci congediamo con un suggerimento.
Metteteci il cuore ragazzi.
In quello che fate, qualsiasi cosa facciate metteteci il cuore.
Che non vuol dire portarsi a casa le mie paturnie alla sera, dice Teresa... ma vuol dire innescare un collegamento strano fra i battiti e il cervello.

Ci saranno pazienti che non potranno mai essere interpretati utilizzando solo un atlante di anatomia o un compendio di patologia e sarà lì che darete il giusto valore ad un 30 sul libretto, una mano sulla spalla e un sorriso. Buon viaggio ragazzi...  

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