È dura ricevere una diagnosi con su
scritto: carcinoma, soprattutto quando tu i carcinomi sei abituata a
vederli, toccarli con mano. Voglio essere un po' cruda. Ho visto
centinaia di pance aperte, ho toccato masse, ho palpato noduli, ho
riposto in vasi o buste sottovuoto un numero sconfinato di pezzi
anatomici, prendendomi la libertà di separare l'uomo dal campione in
esame. Era molto più facile da affrontare. In sala operatoria non
puoi farti carico di tutte le emozioni, rischieresti di impazzire.
C'è sempre una persona oltre quel telo che separa il campo
operatorio dal volto, ma spesso cercavo di dimenticarmene.
Soprattutto quando quel viso era giovane, bello o simpatico.
Soprattutto quando quello che vedevo dentro quel campo operatorio non
mi piaceva. L'uomo diventava una prostata, un rene o uno stomaco, la
ragazza erano due ovaie o un utero. Finiva lì.
Scambiavo due parole al massimo,
preferivo non conoscere troppo, non sapere.
Mi ripetevo che per uno stipendio
mediocre non ne valeva la pena di metterci troppo cuore, ne sarei
uscita disgregata, affranta, segnata.
Difficilissimo era stare in sala con
persone che conoscevo, la tensione si alzava.
Chissà se sarò ancora in grado di
fare questo lavoro.
Ieri in sala non c'era una mammella.
C'era una donna bellissima, una mamma affettuosa, una moglie amata.
C'era una vita che merita di essere conosciuta e rispettata. C'erano
pomeriggi di sorrisi, attimi di apprensione, sogni per il futuro,
disincantate illusioni.
Riuscire a guardare oltre è un lavoro
per menti troppo abili o per menti pazze o per menti che
impazziranno. Ho saltato quel fosso e non potrò più tornare
indietro. Non si tratta di farsi carico dei problemi del mondo, non
ne sarei in grado. Vuol dire aprire veramente gli occhi, vuol dire
visione olistica della persona.
Anche se amo l'acciaio chirurgico non
riuscirò più a guardare solo il mio tavolino ordinato.
Anche se amo l'asettica pulizia, non
riuscirò più solo a fare una medicazione ordinata.
Anche se amo il rigore, il ferro
giusto, il filo adeguato, non riuscirò più solo ad organizzare un
intervento coordinato.
I pazienti hanno un nome e un cognome.
Hanno una storia e magari dei figli. Hanno fatto o faranno la
chemioterapia, hanno vomitato e patito dolori alle ossa e vertigini.
Hanno macinato chilometri per andare in radioterapia. Hanno atteso
con ansia l'intervento. Hanno paura, hanno sogni, sono depressi,
rassegnati o illusi e colmi di speranza.
Non sarò più una asettica
strumentista di sala operatoria.
Sarò Claudia, colpita, ferita,
cambiata.
Mi metto in attesa di collocazione,
alla ricerca di un impiego che mi faccia guardare negli occhi le
persone.
Nel mio male, la cura. Sono guarita da
un difetto di forma.
Ho imparato ad alzare lo sguardo e
quello che vedo mi piace molto di più.
Ieri quella mammella l'ho abbracciata
al risveglio, piano, per non farle male.
Domani ci sarà una nuova storia da
ascoltare prima di vedere organi pelvici sul maxischermo della
laparoscopia e poco male se la Johan o il dissettore saranno riposti
nel tavolo con il manico a sinistra anziché a destra... Avete perso
una fissata e maniacale strumentista.
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