mercoledì 14 giugno 2017

In attesa di collocazione



È dura ricevere una diagnosi con su scritto: carcinoma, soprattutto quando tu i carcinomi sei abituata a vederli, toccarli con mano. Voglio essere un po' cruda. Ho visto centinaia di pance aperte, ho toccato masse, ho palpato noduli, ho riposto in vasi o buste sottovuoto un numero sconfinato di pezzi anatomici, prendendomi la libertà di separare l'uomo dal campione in esame. Era molto più facile da affrontare. In sala operatoria non puoi farti carico di tutte le emozioni, rischieresti di impazzire. C'è sempre una persona oltre quel telo che separa il campo operatorio dal volto, ma spesso cercavo di dimenticarmene. Soprattutto quando quel viso era giovane, bello o simpatico. Soprattutto quando quello che vedevo dentro quel campo operatorio non mi piaceva. L'uomo diventava una prostata, un rene o uno stomaco, la ragazza erano due ovaie o un utero. Finiva lì.
Scambiavo due parole al massimo, preferivo non conoscere troppo, non sapere.
Mi ripetevo che per uno stipendio mediocre non ne valeva la pena di metterci troppo cuore, ne sarei uscita disgregata, affranta, segnata.
Difficilissimo era stare in sala con persone che conoscevo, la tensione si alzava.
Chissà se sarò ancora in grado di fare questo lavoro.

Ieri in sala non c'era una mammella. C'era una donna bellissima, una mamma affettuosa, una moglie amata. C'era una vita che merita di essere conosciuta e rispettata. C'erano pomeriggi di sorrisi, attimi di apprensione, sogni per il futuro, disincantate illusioni.
Riuscire a guardare oltre è un lavoro per menti troppo abili o per menti pazze o per menti che impazziranno. Ho saltato quel fosso e non potrò più tornare indietro. Non si tratta di farsi carico dei problemi del mondo, non ne sarei in grado. Vuol dire aprire veramente gli occhi, vuol dire visione olistica della persona.
Anche se amo l'acciaio chirurgico non riuscirò più a guardare solo il mio tavolino ordinato.
Anche se amo l'asettica pulizia, non riuscirò più solo a fare una medicazione ordinata.
Anche se amo il rigore, il ferro giusto, il filo adeguato, non riuscirò più solo ad organizzare un intervento coordinato.
I pazienti hanno un nome e un cognome. Hanno una storia e magari dei figli. Hanno fatto o faranno la chemioterapia, hanno vomitato e patito dolori alle ossa e vertigini. Hanno macinato chilometri per andare in radioterapia. Hanno atteso con ansia l'intervento. Hanno paura, hanno sogni, sono depressi, rassegnati o illusi e colmi di speranza.
Non sarò più una asettica strumentista di sala operatoria.
Sarò Claudia, colpita, ferita, cambiata.
Mi metto in attesa di collocazione, alla ricerca di un impiego che mi faccia guardare negli occhi le persone.
Nel mio male, la cura. Sono guarita da un difetto di forma.
Ho imparato ad alzare lo sguardo e quello che vedo mi piace molto di più.
Ieri quella mammella l'ho abbracciata al risveglio, piano, per non farle male.

Domani ci sarà una nuova storia da ascoltare prima di vedere organi pelvici sul maxischermo della laparoscopia e poco male se la Johan o il dissettore saranno riposti nel tavolo con il manico a sinistra anziché a destra... Avete perso una fissata e maniacale strumentista.  

Nessun commento:

Posta un commento