martedì 4 aprile 2017

Nel silenzio della notte

Nel silenzio della notte ogni pensiero viene amplificato.
Nel silenzio della notte anche le ombre diventano mostri.
Provo a sussurrare piano a me stessa, ma mi faccio paura da sola.
Allora ascolto.
Il respiro cadenzato, quasi affannoso di un bambinone di 4 anni che dorme a pancia in giù con la maglietta sollevata e il nasino affamato d'aria a contrastare tonsille e adenoidi giganti.
Qualche parola masticata di una principessa che nel sonno rincorre i suoi sogni e scalcia le lenzuola come fossero ostacoli.
Un trillo in lontananza, il frigo che si accende, un auto che passa, un cane che abbaia, una porta che cigola, l'acqua del vicino, il termostato che scatta.
Guardo l'orologio in media 10 volte all'ora e mi riprometto di dormire.
Mi sveglio al mattino in versione panda che nemmeno antirughe più contorno occhi, più primer, fondotinta e una spolverata di terra riescono a cancellare.
Scaldo un latte che non bevo, immergo un biscotto che non mangio.
Non parlo più.
Sveglio a fatica i miei bamboli, li abbraccio come fosse l'ultima volta.
Saluto mio marito con un cenno, chino il capo e aspetto una carezza... che arriva, come sempre, puntuale.
Non parlo più.
Il mio viso si è stretto in una morsa, non c'è mimica.
Non è dolore, non è stanchezza, non è ansia.
Non c'è mimica.
La mia mente è solo là...
L'unico dolore che avverto è quella fitta che non avevo mai sentito, ma che da ieri notte è l'unica cosa che il mio corpo mi fa sentire.
Non mangio più, non rido più, non parlo più, non vivo più.

Mi lascio vivere per tre, forse quattro giorni.
Aspettando che passi, perchè tanto passa.
Perchè è una fase del ciclo, sono fatta così.
Ma stavolta è diverso... dentro di me lo so.
Non reggo la luce, i discorsi, i suoni degli allarmi della sala che suonano. Sono cattiva e scontrosa. Evito di parlare e se devo farlo mormoro.
Sopraffatta dal sonno e dall'ipoglicemia mi chiudo in un mondo mio...
Chiudo il mio armadietto dopo aver riposto una mela che ho riportato al lavoro dopo tre giorni che torna a casa.
Arriva lei.
Credo sia stato il mio corpo a parlare, io no. Io non ne ero in grado, credo sia stato l'istinto di sopravvivenza a dire:
Ho sentito un nodulo, ieri, forse l'altro ieri... Magari non è niente ma sai...”

Fammi un po sentire...”
Aggrotta la fronte! Non mi piace...
Arriccia il naso! Non mi piace...
Poi si scioglie in un sorriso e mi dice "Tranquilla, non sarà niente! Forse è il tuo seno, la tua conformazione... Ma per scrupolo diamoci un occhio!"
Estrae dalla tasca del camice bianco il foglietto rosso e mi richiede l'eco. 
Non so perché ma nell'attimo esatto in cui scrive su quel foglietto penso: "ok brutto stronzo, se ci sei adesso ti becco!".
Poi mi richiudo nel mio silenzio, re indosso la mia maschera e torno in sala.

Scontrosa come un rottweiler, acida come uno yogurt... scaduto!

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