domenica 2 aprile 2017

Fucsia wonderbra

È iniziata così, una mattina di fine inverno... Sveglia, doccia, crema al cocco che mi ricorda il mare e poi la prima scelta difficile della mattinata: vado coi pois, pizzo rosa antico, il nero no... frugo veloce fra slip e brasiliane, cercando in quel cassetto traboccante di reggiseni e push up in cui vige una sola regola: l'abbinata prima di tutto. Peccato che la mia poliedrica personalità mi porti ad un piccolo caos cosmico con conseguenti esplosioni di mutande e coulotte che riescono a fatica e dopo tenaci pressioni a rientrare al loro posto. Della serie: non aprite quel cassetto!
Quella mattina, non so perchè, l'occhio mi cade sul fucsia acceso. Bellino lui... messo sì e no tre quattro volte in circa 3 anni di permanenza. Sarà per la taglia non esattamente conforme alle mie attuali forme... sarà che è stato il classico acquisto del “tanto da domani mi metto a dieta”. Però ci sono quelle giornate in cui te ne frega poco o niente, alla fine l'importante è che la mutanda sia la sua.
Mi strizzo in quel push up, mi mettto i miei soliti leggins e qualche maglietta informe. Nel frattempo fa capolino nella mia stanza Giacomino, reclama coccole, bacetti ma soprattutto la colazione e inizia il tram tram di tutti i giorni.
Abbiamo 22 minuti a partire da adesso per fare colazione, vestire il nano, svegliare Matilde senza innescare la bomba del cattivo umore mattutino. Organizzare un pranzo mordi e fuggi da portare al lavoro, ricordare a papà che alle 7.30 dovrei timbrare il cartellino, ma anche che c'è il dentista di Matilde alle 16.30, che alle 16 io devo essere in palestra, che stasera lui ha il poker con gli amici e che io sono reperibile al lavoro.
Storie di ordinaria folle routine.
Al lavoro ci arrivo alle 7.33, timbro alle 7.35 con il mio consueto puntuale ritardo.
Chirurgia urgenze.
Stampiamo la lista, pianifichiamo il lavoro, accogliamo i primi pazienti, allestiamo la sala, i carrelli, accendiamo le scialitiche, l'elettrobisturi, la colonna laparoscopica.
Il mio fucsia wonderbra comincia a strizzare dopo circa un'oretta, quando dopo l'ennesimo balzo felino per cambiare l'aspiratore pieno, realizzo un senso di “tette in gola”... ok è troppo stretto l'avevo detto io stamattina.
Le ore successive sono una piccola agonia fra palpatine seminascoste e tentativi malparati di allargare bretelle e gancetti.
La tregua arriva solo verso le 14.30... svesto i panni della strumentista. Mi caccio in spogliatoio per una rinfrescatina prepranzo e mi tolgo quello strumento di tortura seduttiva o di seduzione torturatrice.
Liberazione... le ore successive le trascorro come quando a 12 anni te ne stavi beata con la tua canottierina con la piccola differenza che nel frattempo hai si e no una ventina di chili in più, partorito due figli e allattato un vitellino fino a 16 mesi. La forza di gravità purtroppo ha sempre la meglio.
Alle 21.30 sono stremata, a letto, con le caviglie gonfie e il trucco semistruccato, perchè sono stanca e va bene cosi... tra il pranzo e il mio letto sono passati un allenamento di babyvolley con una ventina di scatenate under 8, ho ritirato Giacomo dalla nonna, Matilde dal suo allenamento, ho inventato una cena, fatto due semidocce ma senza capelli (quelli li laviamo domani), corretto compiti, raccontato una storia, aspettato il respiro pesante gli ultimi bacini della buonanotte.
A letto sono solo io e un dolore nuovo, mai sentito. Una fitta costante.
Mi accarezzo e mi massaggio.
Maledetto fucsia wonderbra.
Mi massaggio ma non passa.
E all'improvviso ti trovo.

Una notte di fine inverno ho capito che non c'ero più solo io, i miei amori, le mie passioni, la mia rincorsa ad una vita di corsa.
Una notte di fine inverno è tornata la paura.
È tornata di nuovo, impietosa.
Io la paura la conosco, l'ho guardata in faccia tante volte.
Quella paura che paralizza, che ti toglie il respiro, che ti lascia senza fiato.
La paura è una pancia che non cresce quando sei incinta.
La paura è un medico che guarda un tracciato e allerta una sala operatoria.
La paura è la voce di tua madre che grida e piange al telefono e ti dice “papà non si muove”.
La paura è un cardiologo che scuote la testa.
La paura sono le porte di una sala d'attesa che non si aprono.
La paura è guardare il drago nel monitor finchè tua madre è sedata.
La paura è toccare il tuo seno e nello stesso istante capire che il drago adesso è dentro di te.

Non ho più dormito.
Maledetto fucsia wonderbra
Benedetto fucsia wonderbra.

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